Secondo una ricerca realizzata dal laboratorio Ref ricerche, negli ultimi due anni si è verificato nel nostro Paese un aumento medio del 40% dei costi di smaltimento dei rifiuti. Si tratta di aggravi che, tuttavia, “non hanno un peso omogeneo sul sistema produttivo italiano”. Il comparto che ne viene influenzato maggiormente è quello dell’industria manifatturiera, con “costi maggiorati di quasi 1,3 miliardi, con un’incidenza significativa sui conti del settore del +0,5% sul valore aggiunto”. Lo studio evidenzia inoltre come tra i distretti industriali più coinvolti da questi incrementi ci siano quelli che nelle fasi di lavorazione producono importanti quantità di scarti o i cui rifiuti necessitano di trattamenti specifici. Il riferimento è in particolare al conciario, al tessile, alla cartaria, sino ai fanghi di depurazione dell’agroalimentare.
Tra le cause la carenza di impianti
Lo studio menziona una serie di cause che hanno concorso al verificarsi di questa situazione. “Nell’ultimo anno – spiega una nota del laboratorio Ref ricerche – le imprese hanno in più occasioni lamentato difficoltà crescenti nella gestione dei rifiuti, con un aumento dei tempi di ritiro da parte degli operatori e un aumento significativo dei costi. È successo, per esempio, in regioni ad alto tasso di imprese manifatturiere come Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, trovatesi a fronteggiare un rischio ‘paralisi’ nella gestione dei rifiuti”.
“La ragione principale di questa situazione – si legge ancora nella nota – talvolta dai contorni critici, è dovuta all’assenza o alla carenza di impianti adatti per dimensioni, numero e tecnologia di smaltimento o trasformazione dei rifiuti. Insomma, troppo pochi impianti, troppo saturi e, talvolta, inadatti alle esigenze delle attività produttive. Inoltre hanno contribuito a portare l’Italia all’attuale insufficienza impiantistica elementi quali: intoppi burocratici e lungaggini amministrative, legislazione non sempre chiara se non di ostacolo, risorse economiche insufficienti, frammentarietà e debolezza della governance locale che non ha saputo prendere decisioni in merito e generale opposizione delle popolazioni alla costruzione di centri specializzati”.
“La ragione principale di questa situazione, talvolta dai contorni critici, è dovuta all’assenza o alla carenza di impianti adatti per dimensioni, numero e tecnologia di smaltimento o trasformazione dei rifiuti.
Fattori che hanno accelerato il fenomeno
A concorrere al verificarsi di queste criticità, accentuandole e accelerandole, sono stati anche fattori legati alla situazione congiunturale venutasi a creare in questi anni. Si tratta a sua volta di un intreccio di diversi elementi tra cui “un forte aumento della produzione di rifiuti speciali nel triennio 2014-2017, frutto di una ripresa economica della manifattura (dopo una lunga stagnazione e momenti di crisi);la chiusura del mercato cinese alle importazioni di rifiuti, in particolare plastica riciclabile, residui tessili e carta di qualità inferiore (provvedimento del 2018); a questo stop è seguito quello di altri mercati asiatici e la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2018 che ha bloccato le autorizzazioni “caso per caso” rilasciate dalle Regioni per i processi di recupero (End of waste -Eow)”.
Altre concause sono poi “lo stop allo spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione, a seguito di una sentenza del Tar Lombardia del 2018 ; l’incremento delle raccolte differenziate, in particolare nel Mezzogiorno, che ha generato un aumento degli scarti destinati a smaltimento; l’opposizione delle Regioni alla libera circolazione dei rifiuti urbani tal quale destinati a recupero energetico, così come auspicata dall’art. 35 dello “Sblocca Italia” (2014), che ha implicitamente avallato la prassi di trattare i rifiuti urbani al solo scopo di “trasformarli” in speciali, di libera circolazione, saturando la capacità disponibile degli impianti e “spiazzando” i rifiuti prodotti dalla attività economiche”.
Le proposte del Laboratorio Ref Ricerche
Per cercare di affrontare in modo efficace un quadro di questo tipo, il laboratorio Ref ricerche ha elaborato una serie di proposte.
“Senza dubbio occorre ripensare la gestione dei rifiuti in Italia – spiega una nota – superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali e costruendo gli impianti necessari alla loro gestione, con soluzioni in grado di assicurare la “prossimità” dello smaltimento e del recupero anche al rifiuto di origine non domestica, al fine di contenerne gli spostamenti e i costi per le famiglie e le imprese”.
“Senza dubbio occorre ripensare la gestione dei rifiuti in Italia, superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali e costruendo gli impianti necessari alla loro gestione, con soluzioni in grado di assicurare la “prossimità” dello smaltimento e del recupero anche al rifiuto di origine non domestica, al fine di contenerne gli spostamenti e i costi per le famiglie e le imprese”.
Vi è poi la questione nuovi impianti. “Se non si affrontano le problematiche legate alla gestione dei rifiuti industriali e non si sostengono politiche di realizzazione di nuovi impianti è inevitabile che si giunga a una perdita di competitività dell’intero sistema industriale, con più costi sia per le imprese, sia per le famiglie (che ne acquisteranno i prodotti). Ma anche per dare vita a una vera “circolarità” dell’economia e della società, che senza un’adeguata gestione dei rifiuti difficilmente potrà realizzarsi”.
A essere citato a titolo di esempio è il tasso di riciclo dei materiali. “L’Italia è quarta in Europa, per tasso di riciclo dei materiali: alcune filiere industriali, da tempo, sono molto circolari, con percentuali superiori al 50%. Tuttavia, né la volontà né il rispetto delle norme sono sufficienti: se non si vuole vanificare questo risultato – e godere dei benefici – è fondamentale mettere il sistema della gestione dei rifiuti in condizione di funzionare nel modo migliore, senza sprechi”.
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