Alzi la mano chi non ha acquistato un pacco di prodotti da forno “senza olio di palma”. Alzi la mano chi non ha visto campeggiare con sempre maggiore frequenza questa dicitura sugli scaffali della grande distribuzione. Pur essendo uno degli elementi principali della piramide alimentare di molti Paesi – dell’Africa in primis tra cui l’Angola – in Italia quest’olio vegetale è al centro di una guerra mediatica e di marketing. E la cultura (alimentare) è talmente incisiva sul comportamento del singolo che molti grandi brand hanno deciso di non adoperarlo nei propri prodotti e, da un anno a questa parte (prima c’erano altri mostri da esorcizzare), adottano altri olii a testimonianza della propria credibilità e affidabilità. Ma sostituire l’olio di palma con quello di girasole, cocco o burro aiuta ad ottenere dolci, cracker e gelati più sani? E aiuta a tutelare la salute del consumatore?

L’evento “Olio di palma: facciamo chiarezza”, organizzato dall’Università di scienze gastronomiche di Torino lunedì 26 settembre nell’ambito della più nota manifestazione “Terra Madre – Salone del Gusto”, ha cercato di rispondere a queste domande.

Punto di partenza: la chimica degli olii, che risultano tutti composti da un mix di grassi saturi indispensabili nella nostra dieta: “Il latte materno è una fonte di acido palmitico spiega il Prof. di Chimica Dario Bressanini dell’Università dell’Insubria –Quando non si può adoperare, il latte artificiale viene arricchito con l’olio di palma, che è una fonte di acido palmitico”. Certo non ha gli stessi benefici (è difficile imitare la perfezione della natura), ma può quasi compensarli.

“Noi adoperiamo l’olio di palma frazionato (trattato ndr) e, in base alle caratteristiche tecnologiche del prodotto, ne sfruttiamo alcune frazioni piuttosto che altre”, continua Bressanini. Inoltre, dobbiamo renderlo neutro privandolo del colore rosso, del suo sapore, dell’odore indesiderato. Del resto, chi comprerebbe dei biscotti rossi? “In Africa, invece, viene utilizzato al naturale”. Non viene “raffinato”, un po’ come avviene per la farina.

Per riuscire a rimpiazzarlo occorre, però, studiare in chiave comparativa le sue caratteristiche tecnologiche con altri olii vegetali. “Negli ultimi 20 anni l’uso dell’olio di palma nell’alimentazione è aumentata moltissimo – sottolinea la Prof.ssa di Tecnologie alimentari presso l’Università di Bologna Maria Fiorenza Caboni – A livello tecnologico i grassi (olii allo stato solido) rendono più appetibili i prodotti da forno, incidono sulla shelf life (ovvero ne rallentano il processo di invecchiamento e ritardano la cristallizzazione dell’amido e il rilascio di acqua) e rilasciano aromi durante la masticazione”. E non è semplice adottare un olio alternativo: occorre fare attenzione all’ossidazione, che rende il prodotto rancido se conservato troppo a lungo. In alternativa si può pensare di realizzare confezioni con una quantità d’aria minore o con dei materiali “barriera”. Ma tutti questi sono accorgimenti che richiedono investimenti o, comunque, un costo troppo elevato a fronte della convenienza dell’olio di palma.

Dunque la ricetta sembra essere una, la stessa che suggeriva la nonna: mangiare un po’ di tutto. “Il libro che consiglia i Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN) limita l’assunzione giornaliera di grassi saturi, dà i dosaggi per l’omega 6 e l’omega 3 e suggerisce di assumere una quantità minima di grassi trans e idrogenati – spiega Ferdinando Giannone, Nutrizionista dell’azienda Sanitaria Sant’Orsola Malpighi dell’Università di Bologna – Dovremmo assumere omega 6 (un proinfiammatorio) e omega 3 (antiinfiammatorio) in un rapporto 1 a 5. Invece siamo su 1 a10. L’olio di mais e di girasole sono ricchi di omega 6…”. Inoltre, “è stato supposto, ma non dimostrato, il legame tra assunzione di olio di palma e malattie cardiovascolari. Invece è provato che l’assunzione eccessiva di grassi saturi determini l’insorgere di queste patologie”. E, ricordiamolo, un mix di grassi saturi è alla base di tutti gli olii.

Anche le etichette alimentari mentono
Michele Antonio Fino, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo

Gli effetti economici della sostituzione
Carmine Garzia, Università Scienze gastronomiche

 http://www.youtube.com/watch?v=l1RGnBVVwqA

Quanto conta la coltivazione sostenibile
Stefano Savi, RSPO


Per ricevere quotidianamente i nostri aggiornamenti su energia e transizione ecologica, basta iscriversi alla nostra newsletter gratuita

Tutti i diritti riservati. E' vietata la diffusione
e riproduzione totale o parziale in qualunque formato degli articoli presenti sul sito.
Giornalista professionista e videomaker, attenta al posizionamento seo oriented degli articoli e all'evoluzione dei social network. Si occupa di idrogeno, economia circolare, cyber security, mobilità alternativa, efficienza energetica, internet of things e gestione sostenibile delle foreste