La filiera di produzione industriale ha una responsabilità nella immissione di CO2 nell’atmosfera, ma quello che a volte non valutiamo è come tale impatto sia di tutte le realtà industriali, non ultima la filiera agricola e alimentare. Per conoscere l’entità di tale impatto e valutarne anche eventuali efficentamenti si sta parlando sempre di più di misurare l’impronta di carbonio delle diverse filiere. Su questo il Ministero dell’Ambiente ha avviato un programma dedicato alla filiera vitivinicola, il progetto VIVA che, conclusasi la fase pilota nel 2014, vede oggi aderire e crescere il consenso tra le aziende. Ne parliamo con il Coordinatore del progetto VIVA Pieter Ravaglia, Unità assistenza tecnica Sogesid S.p.A., Direzione Generale per lo sviluppo sostenibile, per il danno ambientale e per i rapporti con l’Unione europea e gli organismi internazionali (Div. I – Interventi per lo sviluppo sostenibile) presso il Ministero dell’Ambiente.
Da quali tipi di esperienze e di esigenze nasce il Progetto VIVA e che risultati ha portato ad oggi?
La sostenibilità in Italia rappresenta una vera e propria opportunità strategica per il settore vitivinicolo. Questo è dimostrato dalla presenza di un ingente numero di programmi privati, istituzionali ed associativi che si sono sviluppati nel corso degli ultimi 5 anni.
Il proliferare di queste iniziative ha però generato confusione tra i consumatori e tra le aziende che si son trovate di fronte a molteplici programmi con obiettivi e modalità operative differenti e che reclamizzavano i prodotti con una terminologia apparentemente legata alla sostenibilità (naturale, sostenibile, eco-compatibile, bio) ma che invece era spesso priva di fondamenta scientifiche e che sfociava poi nel green washing.
Con questo progetto il Ministero dell’Ambiente ha voluto indicare un percorso di sostenibilità nel settore vitivinicolo nazionale, armonizzando l’utilizzo di indicatori ambientali, già ampiamente utilizzati sia a livello nazionale che internazionale, indirizzando le aziende vitivinicole verso un percorso di innovazione.
Dopo una prima sperimentazione su nove aziende pilota il progetto VIVA è passato ora a una fase di sistema e le aziende aderenti al progetto sono triplicate.
Ci sono sviluppi futuri per questa o simili iniziative, anche in altri ambiti della filiera alimentare?
Il programma VIVA si sta ampliando, prevedendo la realizzazione anche degli strumenti informatici di supporto alle aziende nell’applicazione degli indicatori. Questo permetterà di ridurre i costi di applicazione, mantenendo le stesse caratteristiche di qualità e trasparenza degli studi effettuati.
Parallelamente il Ministero dell’Ambiente da diversi anni sta portando avanti il Programma Nazionale sull’Impronta Ambientale aperto a tutti i settori, agroalimentari e non. Inoltre, la recente approvazione della legge 221 del 28 dicembre 2015 prevede che a livello nazionale venga istituito un marchio ambientale che prenda spunto dall’esperienza del progetto pilota della Commissione Europea (PEF/OEF) e che nei prossimi anni diventerà il riferimento per gli studi di sostenibilità per il “made in Italy”.
Molte aziende ritengono che almeno in Italia la sostenibilità non sia un driver di marketing soprattutto perché ancora non soggetta a certificazioni come il Bio o l’IGP. Pensa si potrebbe arrivare a uno standard per misurare la sostenibilità di un prodotto?
La sostenibilità è un Driver di Marketing anche in Italia, alcuni studi come quello del prof. Pomarici lo dimostrano (http://www.viticolturasostenibile.org/News.aspx?news=169). Inoltre esistono già molti standard a livello internazionale per valutare la sostenibilità, il problema è che non erano presenti linee guida e regole comuni che “normassero” la loro applicazione. Il progetto VIVA ha come obiettivo quello di armonizzare l’utilizzo di tali indicatori ambientali, già ampiamente adoperati sia a livello nazionale che internazionale, fornendo delle linee guida per l’applicazione sul territorio Italiano. Ovvero, indicare un percorso di sostenibilità nel settore vitivinicolo italiano; rendere il consumatore consapevole delle performance ambientali del vino che acquista e consuma, aiutandolo a compiere scelte più consapevoli e responsabili; offrire opportunità di valorizzazione e di competitività sul mercato internazionale, facendo del vino un ambasciatore dello sviluppo sostenibile made in Italy nel mondo.
Per quanto riguarda gli altri settori il lavoro della Commissione Europea sulla PEF/OEF ha lo stesso obiettivo, e, come detto prima, l’Italia sta lavorando alla creazione di un marchio che adotta tale metodologia nel Paese.
Ritiene che la esternalità dei costi possa essere integrata nella filiera con profitti per la produzione sostenibile locale?
La sensibilità verso il cambiamento climatico e verso l’influenza delle attività antropiche sull’ambiente è in continua crescita. I governi e le istituzioni stanno adottando sempre di più politiche con criteri di premialità verso iniziative di sostenibilità (vedi il greening nel nuovo PSR e l’adozione obbligatoria dei criteri di Green Pubblic Procurement per gli acquisti della pubblica amministrazione con la Legge 221 del 28/12/15). Tutte queste iniziative danno un valore aggiunto alle aziende che intraprendono un percorso di sostenibilità. Inoltre, diversi studi dimostrano che una presa di coscienza dei produttori circa l’influenza delle loro aziende sull’ambiente porta anche ad un’efficienza nell’uso delle risorse. Investire nella sostenibilità, quindi, indirizza le aziende verso un percorso di innovazione che, attraverso l’uso efficiente delle risorse e il valore aggiunto in termini di immagine, coprono abbondantemente i costi sostenuti per gli studi, anche per le piccole imprese locali. L’importante è che queste imprese siano indirizzate verso il percorso più adatto a loro.
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