Who cares about global warming

GlobalterraIn Europa abbiamo bisogno di una strategia energetica per definire le linee di sviluppo della ricerca, i parametri di consumo e gli adeguamenti tecnologici di industria e ambiente… ma tutte queste azioni sembrano poco mirate nel loro complesso e ancora troppo prive di un senso finale esplicito… non tornano i conti per dirla in un altro modo. Ne parliamo con Gianluca Alimonti ricercatore dell’INFN e docente di Fondamenti di Energetica presso UniMi, che ci dice come, secondo lui, i conti comincerebbero a tornare…

“Non c’è strategia energetica? Forse no, c’è qualcosa alla base che non mi convince che posso riassumere in una domanda che può iniziare in modo provocatorio, ma che potrebbe condurci ad un risvolto positivo. Se ti dicessi ‘who cares about global warming?’

Guardiamo allo storico degli eventi. Possiamo ragionare dal 1990, anno preso come riferimento per la riduzione delle emissioni dal protocollo di  Kyoto: l’Europa sta raggiungendo il proprio target di riduzione previsto dalla normativa 20-20-20, in parte grazie ad una deindustrializzazione ed alla crisi economica ed ha di recente rilanciato ponendosi una riduzione del 40% al 2030. Gli USA di fatto hanno avuto il loro picco di emissioni nel 2005, da cui poi stanno scendendo. Nel recente accordo con la Cina, l’obiettivo di riduzione del 26-28% al 2025 si riferisce al picco delle emissioni americane, avvenuto appunto nel 2005: se invece i loro obiettivi  fossero riferiti, per confrontarli ai nostri, al 1990 il loro equivalente sarebbe circa -15%, cioè la metà del nostro obiettivo riportato linearmente al 2025. Rispetto al 1990 l’India ha triplicato le proprie emissioni di CO2 mentre la Cina le ha quadruplicate divenendo di gran lunga il maggior emettitore mondiale e superando di recente l’Europa anche come emissioni procapite.

In questo quadro la Cina nell’accordo con gli USA dichiara che ‘cercherà di smettere aumentare le proprie emissioni’ entro il 2030, ma non parla di riduzione.

Dal 1990 in definitiva, a fronte di una riduzione delle emissioni europee del 15% -che tradotto a livello mondiale significa un 1/2%- il mondo complessivamente ha aumentato le emissioni del 50%.

Oltretutto negli ultimi 10 anni (2000-2010) in cui una certa attenzione alla politica energetica già c’era, l’aumento del consumo di energia è stato coperto per circa il 50% dal carbone. Allora la mia domanda torna ad essere: who cares about global warming? Perché come disse qualcuno ”…non giudicateli per quello che dicono, ma per quello che fanno…”

 

Ma se non dovessimo valutare solo il profilo ambientale? Pensa che il quadro cambierebbe? 

“In occasione della Set Plan Conference, incontro europeo dei ministeri della ricerca che ha luogo ogni secondo semestre dell’anno nel Paese che ha il governo Ue, uno dei charman, Riccardo Basosi Alimontireferente Miur per Horizon, nel corso della sua introduzione ha portato l’attenzione dei presenti sulle riserve attualmente valutate e stimate delle fonti fossili.

Interessante valutare le riserve fossili assieme ai valori storici, attuali e previsti di import/export delle stesse: l’Europa già 20 anni fa importava risorse, adesso importa oltre il 50% di energia di cui abbisogniamo, in futuro importerà anche di più…e sappiamo bene quali sono e quali possono essere le ridotte risorse che il vecchio continente ha e che può sfruttare.

Gli USA importavano 20 anni fa, adesso importano meno, tra 20 anni esporteranno.

Il medio oriente esportava, esporta ed esporterà.

Ma cosa altro è cambiato? Cina e India. Paesi che 20 anni fa dal punto di vista energetico possiamo dire che non esistevano, adesso importano e tra 20 anni importeranno molto di più…

Di fatto cosa accade? Andiamo a vedere con chi dovremmo competere per l’importazione delle risorse energetiche che sono la linfa vitale delle nostre società. Ci troveremo a competere con Cina e India. Vogliamo concentrarci sulla Cina? Qual è la differenza fondamentale tra noi e loro? Noi siamo in una situazione economica che è meglio non ricordare, mentre la Cina, anche se sta un po’ rallentando la propria crescita, fino a due anni fa andava avanti a due cifre. Sappiamo che sta comprando i territori nel mondo e che possiede il debito americano….e noi vogliamo andare a competere economicamente con loro? 

Come Europa abbiamo tutto l’interesse, economico innanzi tutto, di decarbonizzare ed efficientare la nostra economia, dipendendo meno dalle fonti fossili, indipendentemente dal global warming”.

 

Sostiene quindi che la parola d’ordine sotto la veste della sostenibilità sia ancora e di nuovo economia?   

“Chi nel mondo fin’ora ha assunto dei target vincolanti, chi ha investito soldi in questo? Chi effettivamente ha diminuito l’utilizzo di risorse fossili? Oltre a noi gli Stati Uniti che stanno diminuendo la produzione di CO2 più come fattore contingente alla loro economia e, sempre per contingenza, stanno sostituendo il carbone con lo shale gas dei loro giacimenti che gli costa meno del carbone. L’uscita americana dal mercato del carbone ha prodotto una caduta del prezzo dello stesso… e chi lo sta comprando? La Germania! Che così sta aumentando le proprie emissioni di CO2. Questa nazione sta affrontando dei problemi tecnologici portati dall’alto livello di penetrazione delle rinnovabili intermittenti nel proprio paese per cui deve sopperire con altre risorse che stabilizzino la rete, possibilmente a buon mercato, quindi o nucleare o carbone.

Per rendere competitivo il gas in Europa bisognerebbe, e ci stanno pensando, aumentare il costo dei certificati di CO2.

L’Europa ha uno specifico interesse competitivo ad andare verso la decarbonizzazione, indipendentemente dal ‘global warming’. Per quanto forse uno dei motivi per cui si sta puntando al coinvolgimento globale è l’abbattimento dei costi dello sviluppo tecnologico per la decarbonizzazione…  d’altronde, prima o poi, anche gli altri paesi dovranno fare un percorso simile.

Intanto noi dobbiamo puntare a produrre tecnologia e spingere sull’innovazione, lo disse anche Churchill: ‘Signori abbiamo finito i soldi, dobbiamo pensare!’

Ritengo rischioso legare questa esigenza al clima. Non è un segreto che sono una quindicina di anni che la temperatura globale non cresce: se questo andamento restasse invariato per altri dieci anni il global warning potrebbe perdere di appealing. Perché far dipendere un fattore di sviluppo così nevralgico ad un elemento di tale incertezza? Per questo ancora una volta,  who cares about global warming!


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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.