Continua la manovra di salvataggio del colosso della siderurgia. I prestiti all’ILVA raggiungono quota 250 milioni di euro
Questione di priorità. Il settore prestiti è paralizzato, le aziende hanno smesso di chiederne, i privati contengono le richieste nonostante un tasso di interesse record al ribasso dal 2010. In molti consultano la rete per porre i prestiti migliori a confronto, si informano, consultano, vagliano ogni alternativa; poi spesso si tirano indietro, spesso la domanda viene rigettata, spesso le velleità di investimento restano tali. E parallelamente, aumentano le spese domestiche, generate da un sistema che stenta a scrollarsi di dosso i meccanismi sincopati delle tecnologie regresse – magari spostandosi finalmente verso un’ottica green – in attesa di segnali più forti dalle amministrazioni.
Questione di priorità, appunto. Priorità che vanno verso altre direzioni. Perché oggi c’è da salvare l’ILVA, un colosso della siderurgia che dà lavoro a circa 12.000 operai, ma che devasta un’intera micro-regione, quella che dal tarantino si sposta verso le zone limitrofe, investe l’intero Salento e l’entroterra barese e da anni versa in condizioni economiche precarie. Solo una nuova pioggia di prestiti all’ILVA – la seconda in tre mesi – ha permesso all’impianto di salvaguardare la propria posizione.
Lo stabilimento, da solo, produce quasi 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, circa la metà dei laminati prodotti in tutta Italia, il 6,5% della produzione europea. Ed è a rischio crac. Gli operai temono per i propri stpendi. La politica si misura con dibattiti di natura etica, anche se poi agisce secondo la logica del profitto. È più importante garantire uno stipendio agli operai o salvaguardare l’ambiente? Che poi sarebbe come chiedersi quanto valgono, economicamente, 90 morti l’anno per tumore ai polmoni nelle zone prossime allo stabilimento.
Intanto i prestiti all’ILVA sono stati sbloccati per la seconda volta. Dopo la prima tranche arrivata a settembre, le banche hanno attivato un altro finanziamento da 125 milioni, in tutto fanno 250 milioni, che serviranno a coprire gli stipendi di novembre e a fare poco altro.
I prestiti all’ILVA servono a far quadrare i conti; i conti apposto aiuteranno il gigante zoppo a trovare acquirenti esteri, i nuovi proprietari dovranno essere in possesso di fondi tali da garantire la tanto agognata attivazione del piano ambientale che aderisca ai parametri di legge.
Il Commissario Gnudi può respirare (magari lontano dallo stabilimento) e preparare un programma operativo che permetta all’ILVA di trovare un degno padrone. I nomi sono i soliti, con in pole position la cordata guidata dal gruppo Marcegaglia e dal gruppo ArcelorMittar, leader mondiale del siderurgico. Non ci sono però notizie ufficiale e dare delle tempistiche appare impossibile.
Nel frattempo, le uniche certezze sono che ILVA sia un mastodontico impianto che dà lavoro, ha un regime di produzione tra i più rilevanti d’Europa, assorbe finanziamenti dalla mole enorme e uccide a causa delle emissioni nocive, oltre a causare patologie cardio-respratorie croniche.
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